VI PARTE
FATTORI ESISTENZIALI
Dopo aver considerato l'essere umano come epilogo del processo
di evoluzione, si tratta ora di enunciarne i fattori essenziali che ne
regolano l'esistenza.
Come tutto quello che esiste, la vita dell'essere umano è fondata su
due caratteri in continuo contrasto. Tecnicamente si dovrebbe dire
in opposizione di fase. Due poli contrapposti.
Due poli contrapposti che indicheremo semplicemente come bene
e male. Questi due termini assurgono due vaste gamme di
elementi che si riconducono, in origine, sempre a questi due
caratteri.
Abbiamo già detto, all'inizio, che il male, come effetto del
disequilibrio, è azione causale originaria, mentre il bene, come
effetto della tendenza al riequilibrio, è reazione causale orientata
all'evoluzione.
Abbiamo anche sottolineato il fatto che, in quanto reazione, il
bene è teoricamente più forte del male.
Si può aggiungere che, essendo il nostro massimo interesse il
superamento del disequilibrio, la reciprocità di rispetto tra il bene
ed il male non può rappresentare un fatto naturale e inderogabile.
Certa parte del bene può essere sottaciuta al male, mentre tutto
del male deve essere noto al bene.
I fattori esistenziali sono innanzitutto costituiti dai problemi vitali:
bisogni, desideri, emulazioni.
BISOGNI
Possiamo avere tre classi di bisogni umani: essenziali, istintivi,
evolutivi.
Definiamo bisogni essenziali tutti quelli che condizionano la
nostra vita biologica, la nostra possibilità di esistere fisicamente.
Definiamo invece bisogni istintivi quelli finalizzati alla continuazione
della specie.
Sono infine bisogni evolutivi tutti quelli che provocano un
arricchimento genetico.
Così, sono bisogni essenziali il cibo, la salute, l'abbigliamento, la
dimora.
Sono bisogni istintivi i movimenti fisici, lo sfogo sessuale, il
confronto, la procreazione.
Il piacere sessuale è soddisfazione di un bisogno istintivo, comune
a tutte le specie animali, che diventa appagamento di un desiderio
quando sia accompagnato dalla ragione umana.
In fondo, noi abbiamo, nel bene e nel male, quasi gli stessi istinti
di tutti gli altri animali.
Quel che ci differenzia è l'avere una ragione, cioè un'intelligenza
in grado di orientare e gestire gli istinti.
L'uso della ragione orientata al bene fa dell'essere umano un
soggetto unico, diverso e di gran lunga più evoluto rispetto a tutti
gli altri. Questo è il nostro ruolo, con i suoi costi ed i suoi effetti.
Il mancato utilizzo della ragione ci fa confondere con tutti gli altri
soggetti, dei quali abbiamo più o meno gli stessi istinti.
Sono bisogni evolutivi la conoscenza, la verità, la bellezza, la
giustizia.
DESIDERI
I desideri sono riconducibili alla ragione, e sono quindi
caratteristica esclusiva dell'essere umano o, più precisamente di
tutte le specie che si stanno avvicinando all'essere umano.
I desideri fondamentali sono: la ricerca della felicità, della libertà,
della socialità.
FELICITA’
La felicità, nella sua accezione più realistica, del resto l'unica
umanamente realizzabile da esseri imperfetti, è sempre stata
considerata come completo appagamento del proprio piacere.
Questo assunto irragionevole è stato causa di rallentamento nel
processo evolutivo. Desiderare il proprio massimo appagamento
individuale significa, concettualmente e praticamente, porre come
fine di tutte le nostre azioni non essenziali il condizionamento di
tutte le risorse disponibili a nostro vantaggio ad ogni costo.
Con questo orientamento, in pratica, noi subordiniamo gli effetti
delle nostre azioni su tutti gli altri individui con i quali abbiamo
contatto al nostro unico benessere.
Per realizzare questo scopo ci siamo serviti di tutte le risorse,
quindi di tutte le forze, anche quella fisica, disponibili; gli effetti
di questa posizione, che probabilmente trova le sue radici
nell'istintiva tendenza alla supremazia di tutte le specie animali,
sono le cause degli attuali rapporti sociali tra l'uomo e la donna,
tra il più forte ed il più debole, almeno fisicamente, così come
sono state e sono cause di disparità tra individui e, in fondo, delle
stesse guerre.
Sappiamo di essere individui potenzialmente ragionevoli ma,
anziché servirci della ragione per discernere il nostro bene
individuale, o quello che riteniamo tale, rispetto al male che siamo
disposti a fare agli altri per ottenerlo, subordiniamo la ragione
all'istinto originario che prescindeva, prima di noi, da qualsiasi
ragione.
Ed a questo si riconducono gli eccessi: quando la ragione produce
i mezzi per realizzare l'istinto individuale di essere di più, di più
degli altri.
Tuttavia, questa causa originaria non poteva essere modificata in
assenza della ragione. Oggi, ragionando, noi abbiamo la possibilità di chiederci se questo atteggiamento comporti effettivamente,
anche per il più forte, la massima felicità.
Non si tratta di voler diventare dei santi rinunciatari di qualsiasi
appagamento, si tratta di comprendere, di accettare una verità
effettiva: desiderare la propria massima felicità a tutti i costi
esclude, di per sé, la possibilità di realizzarla.
Vien da chiedersi come mai tante persone che nei più diversi
campi dello scibile umano hanno dimostrato di avere grande
logica, non abbiano poi saputo, neanche per il bene di se stessi,
ribaltare questa tendenza. Ed allora, forse, non è poi così difficile
rispondersi quando ci chiediamo quale sia l'origine del male.
L'origine del male è il disequilibrio originario, sui cui effetti noi
possiamo incidere unicamente con la ragione; se, tuttavia, non ci
facciamo governare dalla ragione, è evidente che non possiamo
neanche ritenere possibile il superamento del disequilibrio e,
quindi, il superamento del male.
È possibile, anzi probabile, realizzare la nostra massima felicità
individuale e, contemporaneamente estenderne gli effetti positivi
sugli altri, ed è possibile anche se non la pensiamo tutti nello
stesso modo, se noi colleghiamo il nostro ideale di massima felicità
al costosacrificio che l'appagamento di questo legittimo desiderio
comporta.
Però dobbiamo percepire, dobbiamo costringerci a percepire tutti
gli effetti delle nostre azioni sugli altri ed accettare che l'ipocrisia
ed il cinismo che ci accompagna ogni qualvolta ci astraiamo dagli
effetti che provochiamo, producono per noi infelicità.
Tra l'altro, non dobbiamo mai dimenticare quante e quali reazioni
noi provochiamo negli altri verso di noi, quando non ci
sottoponiamo a questa regola. E, possiamo esserne certi, prima o
poi ci toccherà di subire gli stessi effetti che noi abbiamo provocato
sugli altri.
LIBERTA’
Un altro desiderio essenziale è quello della libertà.
Libertà è potere soggettivo ed oggettivo di esprimere la propria
individualità.
Non è possibile individuare un concetto di libertà avulso da quelli
di verità e di giustizia.
Infatti, i tre concetti rappresentano una specie di osmosi indissolubile:
realizzare il proprio benessere, quindi avere la libertà di
farlo, è possibile conoscendo la verità, in termini di teoria ed
informazione sui fatti, e pretendendo il giusto, cioè l'ottenimento
di risultati proporzionali alla propria capacità ed al proprio
impegno.
Questo noi dobbiamo percepire!
E dobbiamo riconoscere che oggi il benessere individuale dipende
più dall'accettazione del compromesso con il sistema che dalle
capacità e dall'impegno individuali, così come la conoscenza e
l'informazione sono condizionati e strumentali al potere, mentre la
giustizia è condizionata dal rapporto individuale con il potere.
L'origine di questi limiti sta nella volontà di acquisire e di
consolidare il potere da parte di pochi, sulla necessità che questi
pochi hanno di avere il controllo della conoscenza, con il risultato
che lo stato di diritto diventa emanazione strumentale al
consolidamento del potere.
Le cause, cioè gli errori che giustificano l'esistenza di questi limiti,
di questi problemi, sta nel fatto che il popolo usa la libertà per
decidere i propri egoobiettivi, delegando la realizzazione di
quelli comuni ad altri che desiderano, essenzialmente, il potere
fine a se stesso.
In questo modo, l'individuo pensa che la propria libertà personale
possa esprimersi a prescindere dal potere.
Altra causa, che attiene il concetto di libertà di conoscere, è nel
mancato riconoscimento dell'ignoranza come male, cioè come stato
che origina l'errore.
La terza causa, ricollegata alla giustizia, è la sopravvalutazione
delle proprie capacità individuali rispetto allo stato di diritto, per
cui si pensa, in fondo, di poter essere liberi a prescindere dallo
stato di diritto, il che è perlomeno paradossale.
Gli effetti di questa situazione sono l'alienazione nelle scelte
generali per i popoli, l'esclusione dei popoli dalla conoscenza
orientata al loro benessere (la conoscenza viene orientata a favore
di chi non produce per egemonizzare chi produce), il concetto di
giustizia proporzionale alla conoscenza e, questa, al potere.
Precisare il concetto di libertà, collegandolo a quelli di verità e di
giustizia, significa fare un'indagine sulla progressione della nostra
vita.
Innanzitutto va capovolto il principio, invero solo teorico, secondo
il quale tutti gli uomini nascono liberi.
Tutti gli esseri umani nascono non liberi e possono conseguire la
libertà attraverso la conoscenza ed il lavoro, inteso come pensiero
ed azione.
Un bambino nasce come qualsiasi altro animale e, come tale, non
sarebbe in grado di sopravvivere se non venisse alimentato, e
curato.
Fino a questo momento non è libero.
Poi viene istruito, gli viene inculcato il seme dei valori che lo
animeranno probabilmente per tutta la vita, incomincia a conoscere,
ragiona e, finalmente può lavorare, può cioè percepire e
risolvere i suoi problemi e produrre dei risultati, cioè ricchezza
per sé e per gli altri.
A questo punto potrebbe essere libero, se non fosse condizionato
da quel seme che socialmente lo accompagna e lo induce, in
genere, a determinati comportamenti per tutta la vita.
Poi ama, si confronta, desidera realizzarsi, matura e, infine
muore.
A questo punto è libero.
Non è un'immagine pessimistica della libertà, ma, purtroppo,
quello che accade alla stragrande maggioranza della gente.
Noi dovremmo modificare, allora, il principio secondo il quale
tutti gli uomini sono uguali, intanto sostituendo "tutti gli uomini"
con "tutti gli esseri umani" anche se questo stesso principio non
corrisponde alla realtà.
Noi dobbiamo dire che "tutti gli esseri umani nascono uguali in
dignità, diritti e doveri, e possono diventare liberi".
Ed i malati hanno il diritto di essere curati.
SOCIALITA’
Un ultimo desiderio essenziale è quello di socialità.
Socialità è concezione di essenza comune di tutte le manifestazioni
della vita.
Questa concezione spiega i conflitti tra un soggetto vitale e tutti gli
altri: il rapporto tra istinto e ragione.
L'essere umano, oggi, è certamente ancora imperfetto, ma è stato
tanto più imperfetto quanto più ritorniamo indietro nel tempo.
La più grande evoluzione che abbiamo subito rispetto all'inizio è
la ragione. Possiamo dire che la ragione è componente essenziale
della forza che tende al riequilibrio.
Non siamo dunque sbagliati o difettosi, siamo semplicemente in
uno stato intermedio di una evoluzione della quale l'origine è più
imperfetta della fine.
Ci dobbiamo, allora, chiedere il motivo per cui dobbiamo
ammettere, oggi, di essere ancora talmente immaturi da rischiare
di mettere in discussione la nostra stessa esistenza.
Quali sono le cause?
Siamo più stupidi, dunque, siamo esseri inferiori rispetto ad altre
specie animali tanto da non avere almeno la responsabilità di
garantire l'esistenza alla nostra specie?
Alcuni futurologhi hanno immaginato entità artificiali da noi
ideate le quali, ad un certo momento, sfuggono al nostro controllo.
Ciò non significherebbe che tutto ciò che l'essere umano ha ideato
in termini di prodotti scientifici sia sbagliato o difettoso.
Alcuni di noi sono difettosi. Alcuni di noi esprimono degli eccessi
che tutti gli altri subiscono. E, per logica concatenazione tra cause
ed effetti, l'eccesso, come causa immanente del desiderio
sconsiderato di avere, provoca in chi lo subisce istintive reazioni
di timore che la ragione fatica a controllare.
Da tale perpetuarsi di eccessi e di reazioni, che rappresentano
tuttavia fatti oggettivi, deriva il pessimistico giudizio su noi stessi,
sull'essere umano giudicato come male per antonomasia.
Io sostengo che la causa del male, e non solo nell'essere umano,
abbia origine dal disequilibrio iniziale e, per quanto ci riguarda,
sia riconducibile agli istinti primordiali che fino ad ora ci hanno
governato, e che gli effetti di tali istinti vengano moltiplicati dalla
ragione.
Una ragione che, per poter adeguatamente controllare gli istinti,
ha necessariamente bisogno di conoscerli, così come ha bisogno di
conoscere gli effetti che questi stessi istinti possono provocare su di
noi.
Non si può immaginare un mondo in cui viga equilibrio senza
l'uso di quella ragione, caratteristica unica dell'essere umano; non
esistono prove dell'esistenza di un tale equilibrio prima di noi.
L'essere umano in quanto tale, quindi, non può essere giudicato
come espressione del male del mondo, bensì uno strumento, una
macchina che, ingovernata dalla ragione, ha il potere, appunto, di
moltiplicare gli effetti degli eccessi.
È giunto, allora, il momento in cui l'essere umano deve affrontare
se stesso, rivoluzionando le proprie caratteristiche; deve riuscire,
in sostanza, a far emergere in sé la realtà e la logica della ragione.
E questo deve fare serenamente, per mera opportunità, nella
convinzione che dal momento della nascita al momento della
morte è più opportuno agire ragionevolmente piuttosto che
istintivamente.
Devono capirlo i popoli, che devono sapere di dover lavorare, di
dover accettare i loro costi-sacrifici per soddisfare i propri bisogni
ed i propri desideri, e devono capirlo i potenti, che non vivranno
meglio e non vivranno di più inseguendo i loro eccessi, i loro
cinismi e le loro ipocrisie.
I popoli, i governati, debbono credere, perché è ragionevole
crederlo, di potersi liberare degli eccessi di chi li governa oltre che
dei propri pessimismi e dei propri timori.
Quelle che il potere definisce le proprie cellule impazzite devono
avere il coraggio, non l'esaltazione, di andare incontro al
benessere dei popoli.
Gli uni e le altre devono trovare una forma di aggregazione che
inverta socialmente e radicalmente l'orientamento degli eventi,
inducendo nuove emulazioni verso una reale e possibile definitiva
evoluzione.
Per riuscire in questa impresa, bisogna che ciascuno di noi compia
lo sforzo di riconoscere fino in fondo il male che si porta dentro e,
con la propria intelligenza, produca quegli effetti incidenti sulle
attuali ben note realtà, per modificare, in quanto possibile, questa
concatenazione di fatti che noi stessi, in fondo, definiamo pazzie.
E, se per ottenere questo risultato, sarà necessario un esempio, se
per schiodare una situazione, che dura dall'inizio della storia, ci
vorrà un atto di forza, questo è il momento.
Anche se dovesse dipendere da una persona sola.
Del resto, la storia ci insegna che, se è vero che ad un potere se ne
sostituisce sempre un altro che, infine, potrebbe anche essere
quello ideale per il benessere della gente, la stessa storia ci
insegna che colui che provoca il cambiamento deve essere disposto
ad accettare per primo il costo sacrificio del cambiamento.
EMULAZIONI
Le emulazioni sono fattori esistenziali mediante i quali l'essere
umano produce effetti ad un costosacrificio meno elevato.
Anche qui, il fattore "emulazione" attiene i risultati di avere,
potere, essere.
Tre quarti dell'umanità di oggi può cogliere, quindi emulare, i
processi positivi realizzati dai popoli che hanno potuto e saputo
liberare se stessi dai bisogni essenziali, anche se non sarà più
possibile produrre ricchezza impedendo a qualcuno di fare
altrettanto.
Tutta la gente, di mano in mano che si libera dai bisogni
essenziali può risolvere il problema dei rapporti tra governanti e
governati.
Ciascuno di noi, che sia sazio ed in buona salute, ha la possibilità
di emulare il modo per essere sempre più e fino in fondo se stesso.
EVOLUZIONE DEI PROBLEMI
Tutti i problemi vitali, sia che rappresentino bisogni, sia che
rappresentino desideri, sono risolvibili attraverso una naturale
evoluzione che, schematicamente, indichiamo per fasi:
- percezione;
- riconoscimento;
- priorità;
- origine;
- cause;
- obiettivi;
- soluzioni;
- effetti;
- strumenti;
- strategia;
- prassi;
- ostacoli;
- risultati.
Percezione
La prima percezione che noi possiamo avere è che qualcosa ci
impedisce di ottenere il miglior benessere.
Ci riferiamo, quindi, a qualcosa che esiste, a qualcosa di reale, di
effettivo, dentro e fuori di noi.
Per la verità, si tratta di un numero considerevole di cose che
frenano il raggiungimento del nostro miglior benessere: tutte
queste cose sono i problemi.
E, per tutti noi, esistono quasi gli stessi problemi, così come tutti
noi, individualmente o socialmente, possiamo risolverli.
Però dobbiamo percepirli, questi problemi.
La percezione, quindi, si assume come punto di partenza per
risolvere qualsiasi problema, in funzione del nostro comune
benessere.
Percezione che può essere indotta da esperienze personali, dalla
conoscenza storica, dalla elaborazione logica.
La percezione che deriva dalle esperienze personali è probabilmente
quella che provoca in noi i maggiori effetti, perché è
qualcosa che ci tocca da vicino e che, quasi fisicamente, anzi,
talvolta proprio fisicamente, ci tocca.
Purtroppo, la nostra evoluzione verso il benessere risulterebbe
troppo rallentata se i nostri problemi venissero da noi percepiti
esclusivamente da esperienze personali.
Non abbiamo tanto tempo!
La fame, le malattie, l'ignoranza e le guerre possono certamente
essere da noi percepite senza dover passare attraverso esperienze
personali.
Sono fenomeni che esistono, sono sempre esistiti e, alcuni di essi
esistono oggi più di ieri.
Quindi dovremmo vivere bendati per non percepire questi
fenomeni.
Né possiamo, anche ammesso che fosse legittimo, escluderci da
questi fenomeni.
Possiamo escludere la fame, forse, non certamente le malattie, non
le guerre, dal momento che siamo arrivati al punto d'aver
prodotto strumenti capaci di distruggere oltre a noi, il nostro
stesso pianeta.
Ma chi ha voluto tutto questo?
Lo ha voluto la gente che ha inventato, che ha lavorato, che ha
prodotto ricchezza o soltanto pochi, pochissimi di noi?
Il modo più opportuno, che dovrebbe anche essere il più naturale,
per percepire i problemi dovrebbe essere la conoscenza di tutto
quello che sta avvenendo e di tutto quello che è avvenuto prima di
noi.
La concentrazione della somma di tutte le conoscenze, delle teorie
e dei fatti, posti a disposizione dell'individuo, consentirebbero di
provocare un impulso eccezionale, quanto meno nella percezione
di tutti problemi già affrontati.
Infine, se noi supponessimo la possibilità di poterci impossessare
dell'insieme dei problemi finora percepiti, potremmo liberare
immani energie tese a percepire nuovi problemi, il resto degli
impedimenti al nostro benessere, mediante l'elaborazione logica
della ragione.
Il soddisfacimento dei bisogni essenziali richiederebbe un minimo
sforzo comune, mentre tutta la restante energia potrebbe essere
orientata al conseguimento della massima perfezione possibile.
Riconoscimento
Percepiti i problemi, occorre riconoscerli.
Il riconoscimento è processo di reazione rispetto alla percezione,
nel senso che, supposta l'esistenza di un problema, percepitane
l'esistenza stessa, ne riconosciamo l'essenza.
Tutti noi riconosciamo, o dovremmo riconoscere, l'essenza dei
problemi che provocano effetti immediati: la fame, la malattia,
l'ignoranza ma anche l'ingiustizia, la falsità, la guerra.
Altri problemi sono riconoscibili pensando agli effetti potenziali
che provocano.
Gli egoismi e gli eccessi sono esempi di problemi che non
provocano sempre effetti immediati, ma certamente ne provocano
in prospettiva, attraverso le reazioni di tutti coloro che subiscono
gli egoismi e gli eccessi.
Priorità
Riconosciuti i problemi, è necessario definirne il grado di
importanza, cioè la latitudine di priorità.
Tale priorità è collegata al grado di interesse, di probabilità, di
responsabilità.
Il grado di interesse si rileva attraverso la verifica degli effetti
della mancata soluzione; il grado di probabilità è riconducibile
all'esistenza o meno delle risorse necessarie a risolvere; il grado di
responsabilità è relativo al rapporto tra interesse individuale ed
interesse comune.
Origine
I problemi possono avere origine naturale, personale, sociale.
Sono problemi naturali quelli che hanno origine dallo scenario
complessivo nel quale viviamo.
Possono avere origine personale, individuale, quelli attinenti la
nostra diversità soggettiva.
Sono di origine sociale tutti quelli che hanno origine dai nostri
simili.
Cause
Le cause prevalenti dei problemi possono essere naturali, istintive,
oppure intellettuali.
Sono cause naturali quelle che scaturiscono dalla nostra struttura
biochimica; sono cause istintive quelle che hanno origine dagli
impulsi del nostro incosciente; sono, infine, cause intellettuali
quelle che ci vengono poste dalla ragione.
Solo una precisazione circa le cause istintive: esse danno origine a
problemi reali, effettivi, ma anche a problemi inventati.
Tutti i problemi posti da cause istintive che eccedono quelli la cui
soluzione comporta comune benessere sono problemi inventati e
non possono che derivare da stati patologici ai quali la scienza,
oggi, ha attribuito esatte collocazioni: isterie, psicopatie,
mitomanie, etc.
Cause intellettuali sono quelle che nascono dalla ragione, da un
rapporto di costo-sacrificio.
Obiettivi
Una volta verificate le cause dei problemi, occorre identificare e
definire gli obiettivi che ci si propone di realizzare.
La determinazione degli obiettivi relativi ad un singolo problema
deve necessariamente tener conto del rapporto con gli obiettivi
determinati in relazione ad altri problemi del medesimo scenario.
Occorre, cioè, pianificare gli obiettivi.
È infine necessario trasporre il convincimento empirico rispetto
agli obiettivi in un convincimento scientifico, tecnico, suffragato da
realismo, attribuendo il grado di probabilità ad un obiettivo
ritenuto possibile (la forza è, quindi, la probabilità di realizzare
soluzioni ed è direttamente proporzionale alla volontà).
Soluzioni
Fissati gli obiettivi, la memoria, la scienza e l'intuito ci
consentiranno di ideare le soluzioni.
Più precisamente, la memoria e la scienza (cultura) sapranno
individuare soluzioni storiche, realizzate od anche solo teorizzate,
rispetto agli stessi problemi, mentre l'intuito consentirà di
ipotizzare soluzioni originali.
Tutte le soluzioni devono essere comparate stabilendo i rapporti
tra risorse, quindi, energia necessaria, organizzazione, tempo da
dedicare ed effetti potenzialmente derivabili dalle rispettive
soluzioni.
La più opportuna soluzione individuata deve poi essere tra-sformata
in progetto ed in programma.
Effetti delle soluzioni
Come è evidente che soluzioni possibili diano luogo ad effetti
possibili, così è evidente che soluzioni probabili diano luogo ad
effetti probabili, essendo le soluzioni cause degli effetti.
Esiste, pertanto, una logica concatenazione tra soluzioni ed effetti
delle stesse.
Ogni soluzione può dar luogo ad una sola tipologia di effetti, che
devono essere stabiliti contestualmente alla individuazione della
soluzione che ne è causa.
Una volta deciso il parametro tra soluzioni prospettate ed effetto,
l'effetto stesso non è più modificabile se non modificando la
soluzione.
Si tratta di stabilire delle prevalenze, dunque rispetto agli effetti
derivanti da una soluzione, tenendo conto che gli effetti stessi
avranno certamente un determinato grado di incidenza, non solo
sul problema in esame ma, anche, sullo scenario più complesso nel
quale quel determinato problema è sorto.
La determinazione dell'effetto al quale dare prevalenza deve
tener conto, essenzialmente, delle reazioni indotte.
Strumenti
La realizzazione di una soluzione richiede, naturalmente, idonei
strumenti.
I tre strumenti fondamentali, quelli sui quali si basano tutti gli
altri, sono la ragione, l'energia, il tempo.
Il primo risultato, quindi, che è strumentale all'acquisizione degli
strumenti, deriva dal rapporto tra ragione (quoziente intellettuale),
energia (lavoro inteso come pensiero ed azione) e tempo
(la quantità dedicata).
Da questo rapporto fondamentale vengono prodotti tutti i
successivi strumenti.
Strategia
La strategia è riconducibile al rapporto tra pianificazione degli
obiettivi e strumenti di soluzione.
Essa attiene all'organizzazione degli strumenti, alla loro
regolamentazione ed ai conflitti tra il soggetto agente (individuo)
e le situazioni reali esistenti (scenari) sulle quali si incide.
Prassi
In un piano impostato secondo i crismi fin qui enunciati, la prassi
definisce i modi in cui viene applicata la strategia.
Tutti i metodi pragmatici sono costituiti da almeno tre fatti:
azioni, reazioni, controreazioni.
Sono azioni i fatti prodotti dal soggetto agente, sono reazioni gli
effetti di tali fatti, sono controreazioni i fatti prodotti dal soggetto
agente rispetto agli effetti.
Ostacoli
In apparenza gli ostacoli appaiono identificabili con gli effetti,
mentre in realtà essi sono già esistenti nelle situazioni reali sulle
quali le soluzioni incidono.
Gli ostacoli sono fatti, impedimenti prevedibili, che rappresentano
in sostanza il grado di rifiuto oggettivo intrinseco al problema:
sono i difetti, gli errori che scaturiscono dall'essenza del
disequilibrio.
La considerazione più realistica degli ostacoli, perciò, implementa
il grado di probabilità di una soluzione.
Risultati
I risultati possono essere positivi o negativi.
Parliamo di risultati positivi quando l'incidenza di una soluzione
realizzata, rispetto alle risorse impiegate (ragione, energia, tempo)
comporta maggiore benessere per il soggetto agente ed il
rispettivo scenario, mentre definiamo risultati negativi non
soltanto quelli che inducono minore benessere, ma anche quelli
che non provocano alcun grado di incidenza sugli scenari: le
risorse impiegate per produrre risultati inconsistenti (neutri), in
ogni caso, rappresentano pur sempre un risultato negativo.
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