PENTAKOS
1990
Rodolfo Marusi Guareschi

Autobiografia

Prefazione

Premessa

Introduzione

Lettura
Parte I
Leggi universali
Parte II
Proposta filosofica
Parte III
Caratteri delle proposta
Parte IV
Concetti esistenziali
Parte V
Risultati ottenibili
Parte VI
Fattori esistenziali
Bisogni
Desideri
Felicità
Libertà
Socialità
Emulazioni
Evoluzione dei
problemi
Parte VII
Rapporti sociali
Parte VIII
Rapporti civili
Parte IX
Sistema politico
Parte X
Rapporti economici
Parte XI
Rapporti morali
Parte XII
Stato del mondo
Parte XIII
Progetto
Parte XIV
Cambiamento
Parte XV
Impero del bene
Epilogo
Glossario
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Parte VI
Fattori esistenziali
Bisogni
Desideri
Felicità
Libertà
Socialità
Emulazioni
Evoluzione dei problemi

VI PARTE
FATTORI ESISTENZIALI

Dopo aver considerato l'essere umano come epilogo del processo di evoluzione, si tratta ora di enunciarne i fattori essenziali che ne regolano l'esistenza.

Come tutto quello che esiste, la vita dell'essere umano è fondata su due caratteri in continuo contrasto. Tecnicamente si dovrebbe dire in opposizione di fase. Due poli contrapposti.

Due poli contrapposti che indicheremo semplicemente come bene e male. Questi due termini assurgono due vaste gamme di elementi che si riconducono, in origine, sempre a questi due caratteri.

Abbiamo già detto, all'inizio, che il male, come effetto del disequilibrio, è azione causale originaria, mentre il bene, come effetto della tendenza al riequilibrio, è reazione causale orientata all'evoluzione.

Abbiamo anche sottolineato il fatto che, in quanto reazione, il bene è teoricamente più forte del male.

Si può aggiungere che, essendo il nostro massimo interesse il superamento del disequilibrio, la reciprocità di rispetto tra il bene ed il male non può rappresentare un fatto naturale e inderogabile.

Certa parte del bene può essere sottaciuta al male, mentre tutto del male deve essere noto al bene.

I fattori esistenziali sono innanzitutto costituiti dai problemi vitali: bisogni, desideri, emulazioni.


Parte VI
Fattori esistenziali
Bisogni
Desideri
Felicità
Libertà
Socialità
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Evoluzione dei problemi

BISOGNI

Possiamo avere tre classi di bisogni umani: essenziali, istintivi, evolutivi.

Definiamo bisogni essenziali tutti quelli che condizionano la nostra vita biologica, la nostra possibilità di esistere fisicamente.

Definiamo invece bisogni istintivi quelli finalizzati alla continuazione della specie.

Sono infine bisogni evolutivi tutti quelli che provocano un arricchimento genetico.

Così, sono bisogni essenziali il cibo, la salute, l'abbigliamento, la dimora.

Sono bisogni istintivi i movimenti fisici, lo sfogo sessuale, il confronto, la procreazione.

Il piacere sessuale è soddisfazione di un bisogno istintivo, comune a tutte le specie animali, che diventa appagamento di un desiderio quando sia accompagnato dalla ragione umana.

In fondo, noi abbiamo, nel bene e nel male, quasi gli stessi istinti di tutti gli altri animali.

Quel che ci differenzia è l'avere una ragione, cioè un'intelligenza in grado di orientare e gestire gli istinti.

L'uso della ragione orientata al bene fa dell'essere umano un soggetto unico, diverso e di gran lunga più evoluto rispetto a tutti gli altri. Questo è il nostro ruolo, con i suoi costi ed i suoi effetti.

Il mancato utilizzo della ragione ci fa confondere con tutti gli altri soggetti, dei quali abbiamo più o meno gli stessi istinti.

Sono bisogni evolutivi la conoscenza, la verità, la bellezza, la giustizia.


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Bisogni
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Felicità
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Socialità
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Evoluzione dei problemi

DESIDERI

I desideri sono riconducibili alla ragione, e sono quindi caratteristica esclusiva dell'essere umano o, più precisamente di tutte le specie che si stanno avvicinando all'essere umano.

I desideri fondamentali sono: la ricerca della felicità, della libertà, della socialità.


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Evoluzione dei problemi

FELICITA’

La felicità, nella sua accezione più realistica, del resto l'unica umanamente realizzabile da esseri imperfetti, è sempre stata considerata come completo appagamento del proprio piacere.

Questo assunto irragionevole è stato causa di rallentamento nel processo evolutivo. Desiderare il proprio massimo appagamento individuale significa, concettualmente e praticamente, porre come fine di tutte le nostre azioni non essenziali il condizionamento di tutte le risorse disponibili a nostro vantaggio ad ogni costo.

Con questo orientamento, in pratica, noi subordiniamo gli effetti delle nostre azioni su tutti gli altri individui con i quali abbiamo contatto al nostro unico benessere.

Per realizzare questo scopo ci siamo serviti di tutte le risorse, quindi di tutte le forze, anche quella fisica, disponibili; gli effetti di questa posizione, che probabilmente trova le sue radici nell'istintiva tendenza alla supremazia di tutte le specie animali, sono le cause degli attuali rapporti sociali tra l'uomo e la donna, tra il più forte ed il più debole, almeno fisicamente, così come sono state e sono cause di disparità tra individui e, in fondo, delle stesse guerre.

Sappiamo di essere individui potenzialmente ragionevoli ma, anziché servirci della ragione per discernere il nostro bene individuale, o quello che riteniamo tale, rispetto al male che siamo disposti a fare agli altri per ottenerlo, subordiniamo la ragione all'istinto originario che prescindeva, prima di noi, da qualsiasi ragione.

Ed a questo si riconducono gli eccessi: quando la ragione produce i mezzi per realizzare l'istinto individuale di essere di più, di più degli altri.

Tuttavia, questa causa originaria non poteva essere modificata in assenza della ragione. Oggi, ragionando, noi abbiamo la possibilità di chiederci se questo atteggiamento comporti effettivamente, anche per il più forte, la massima felicità.

Non si tratta di voler diventare dei santi rinunciatari di qualsiasi appagamento, si tratta di comprendere, di accettare una verità effettiva: desiderare la propria massima felicità a tutti i costi esclude, di per sé, la possibilità di realizzarla.

Vien da chiedersi come mai tante persone che nei più diversi campi dello scibile umano hanno dimostrato di avere grande logica, non abbiano poi saputo, neanche per il bene di se stessi, ribaltare questa tendenza. Ed allora, forse, non è poi così difficile rispondersi quando ci chiediamo quale sia l'origine del male.

L'origine del male è il disequilibrio originario, sui cui effetti noi possiamo incidere unicamente con la ragione; se, tuttavia, non ci facciamo governare dalla ragione, è evidente che non possiamo neanche ritenere possibile il superamento del disequilibrio e, quindi, il superamento del male.

È possibile, anzi probabile, realizzare la nostra massima felicità individuale e, contemporaneamente estenderne gli effetti positivi sugli altri, ed è possibile anche se non la pensiamo tutti nello stesso modo, se noi colleghiamo il nostro ideale di massima felicità al costosacrificio che l'appagamento di questo legittimo desiderio comporta.

Però dobbiamo percepire, dobbiamo costringerci a percepire tutti gli effetti delle nostre azioni sugli altri ed accettare che l'ipocrisia ed il cinismo che ci accompagna ogni qualvolta ci astraiamo dagli effetti che provochiamo, producono per noi infelicità.

Tra l'altro, non dobbiamo mai dimenticare quante e quali reazioni noi provochiamo negli altri verso di noi, quando non ci sottoponiamo a questa regola. E, possiamo esserne certi, prima o poi ci toccherà di subire gli stessi effetti che noi abbiamo provocato sugli altri.


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LIBERTA’

Un altro desiderio essenziale è quello della libertà.

Libertà è potere soggettivo ed oggettivo di esprimere la propria individualità.

Non è possibile individuare un concetto di libertà avulso da quelli di verità e di giustizia.

Infatti, i tre concetti rappresentano una specie di osmosi indissolubile: realizzare il proprio benessere, quindi avere la libertà di farlo, è possibile conoscendo la verità, in termini di teoria ed informazione sui fatti, e pretendendo il giusto, cioè l'ottenimento di risultati proporzionali alla propria capacità ed al proprio impegno.

Questo noi dobbiamo percepire!

E dobbiamo riconoscere che oggi il benessere individuale dipende più dall'accettazione del compromesso con il sistema che dalle capacità e dall'impegno individuali, così come la conoscenza e l'informazione sono condizionati e strumentali al potere, mentre la giustizia è condizionata dal rapporto individuale con il potere.

L'origine di questi limiti sta nella volontà di acquisire e di consolidare il potere da parte di pochi, sulla necessità che questi pochi hanno di avere il controllo della conoscenza, con il risultato che lo stato di diritto diventa emanazione strumentale al consolidamento del potere.

Le cause, cioè gli errori che giustificano l'esistenza di questi limiti, di questi problemi, sta nel fatto che il popolo usa la libertà per decidere i propri egoobiettivi, delegando la realizzazione di quelli comuni ad altri che desiderano, essenzialmente, il potere fine a se stesso.

In questo modo, l'individuo pensa che la propria libertà personale possa esprimersi a prescindere dal potere.

Altra causa, che attiene il concetto di libertà di conoscere, è nel mancato riconoscimento dell'ignoranza come male, cioè come stato che origina l'errore.

La terza causa, ricollegata alla giustizia, è la sopravvalutazione delle proprie capacità individuali rispetto allo stato di diritto, per cui si pensa, in fondo, di poter essere liberi a prescindere dallo stato di diritto, il che è perlomeno paradossale.

Gli effetti di questa situazione sono l'alienazione nelle scelte generali per i popoli, l'esclusione dei popoli dalla conoscenza orientata al loro benessere (la conoscenza viene orientata a favore di chi non produce per egemonizzare chi produce), il concetto di giustizia proporzionale alla conoscenza e, questa, al potere.

Precisare il concetto di libertà, collegandolo a quelli di verità e di giustizia, significa fare un'indagine sulla progressione della nostra vita.

Innanzitutto va capovolto il principio, invero solo teorico, secondo il quale tutti gli uomini nascono liberi.

Tutti gli esseri umani nascono non liberi e possono conseguire la libertà attraverso la conoscenza ed il lavoro, inteso come pensiero ed azione.

Un bambino nasce come qualsiasi altro animale e, come tale, non sarebbe in grado di sopravvivere se non venisse alimentato, e curato.

Fino a questo momento non è libero.

Poi viene istruito, gli viene inculcato il seme dei valori che lo animeranno probabilmente per tutta la vita, incomincia a conoscere, ragiona e, finalmente può lavorare, può cioè percepire e risolvere i suoi problemi e produrre dei risultati, cioè ricchezza per sé e per gli altri.

A questo punto potrebbe essere libero, se non fosse condizionato da quel seme che socialmente lo accompagna e lo induce, in genere, a determinati comportamenti per tutta la vita.

Poi ama, si confronta, desidera realizzarsi, matura e, infine muore.

A questo punto è libero.

Non è un'immagine pessimistica della libertà, ma, purtroppo, quello che accade alla stragrande maggioranza della gente.

Noi dovremmo modificare, allora, il principio secondo il quale tutti gli uomini sono uguali, intanto sostituendo "tutti gli uomini" con "tutti gli esseri umani" anche se questo stesso principio non corrisponde alla realtà.

Noi dobbiamo dire che "tutti gli esseri umani nascono uguali in dignità, diritti e doveri, e possono diventare liberi".

Ed i malati hanno il diritto di essere curati.


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SOCIALITA’

Un ultimo desiderio essenziale è quello di socialità.

Socialità è concezione di essenza comune di tutte le manifestazioni della vita.

Questa concezione spiega i conflitti tra un soggetto vitale e tutti gli altri: il rapporto tra istinto e ragione.

L'essere umano, oggi, è certamente ancora imperfetto, ma è stato tanto più imperfetto quanto più ritorniamo indietro nel tempo.

La più grande evoluzione che abbiamo subito rispetto all'inizio è la ragione. Possiamo dire che la ragione è componente essenziale della forza che tende al riequilibrio.

Non siamo dunque sbagliati o difettosi, siamo semplicemente in uno stato intermedio di una evoluzione della quale l'origine è più imperfetta della fine.

Ci dobbiamo, allora, chiedere il motivo per cui dobbiamo ammettere, oggi, di essere ancora talmente immaturi da rischiare di mettere in discussione la nostra stessa esistenza.

Quali sono le cause?

Siamo più stupidi, dunque, siamo esseri inferiori rispetto ad altre specie animali tanto da non avere almeno la responsabilità di garantire l'esistenza alla nostra specie?

Alcuni futurologhi hanno immaginato entità artificiali da noi ideate le quali, ad un certo momento, sfuggono al nostro controllo.

Ciò non significherebbe che tutto ciò che l'essere umano ha ideato in termini di prodotti scientifici sia sbagliato o difettoso.

Alcuni di noi sono difettosi. Alcuni di noi esprimono degli eccessi che tutti gli altri subiscono. E, per logica concatenazione tra cause ed effetti, l'eccesso, come causa immanente del desiderio sconsiderato di avere, provoca in chi lo subisce istintive reazioni di timore che la ragione fatica a controllare.

Da tale perpetuarsi di eccessi e di reazioni, che rappresentano tuttavia fatti oggettivi, deriva il pessimistico giudizio su noi stessi, sull'essere umano giudicato come male per antonomasia.

Io sostengo che la causa del male, e non solo nell'essere umano, abbia origine dal disequilibrio iniziale e, per quanto ci riguarda, sia riconducibile agli istinti primordiali che fino ad ora ci hanno governato, e che gli effetti di tali istinti vengano moltiplicati dalla ragione.

Una ragione che, per poter adeguatamente controllare gli istinti, ha necessariamente bisogno di conoscerli, così come ha bisogno di conoscere gli effetti che questi stessi istinti possono provocare su di noi.

Non si può immaginare un mondo in cui viga equilibrio senza l'uso di quella ragione, caratteristica unica dell'essere umano; non esistono prove dell'esistenza di un tale equilibrio prima di noi.

L'essere umano in quanto tale, quindi, non può essere giudicato come espressione del male del mondo, bensì uno strumento, una macchina che, ingovernata dalla ragione, ha il potere, appunto, di moltiplicare gli effetti degli eccessi.

È giunto, allora, il momento in cui l'essere umano deve affrontare se stesso, rivoluzionando le proprie caratteristiche; deve riuscire, in sostanza, a far emergere in sé la realtà e la logica della ragione.

E questo deve fare serenamente, per mera opportunità, nella convinzione che dal momento della nascita al momento della morte è più opportuno agire ragionevolmente piuttosto che istintivamente.

Devono capirlo i popoli, che devono sapere di dover lavorare, di dover accettare i loro costi-sacrifici per soddisfare i propri bisogni ed i propri desideri, e devono capirlo i potenti, che non vivranno meglio e non vivranno di più inseguendo i loro eccessi, i loro cinismi e le loro ipocrisie.

I popoli, i governati, debbono credere, perché è ragionevole crederlo, di potersi liberare degli eccessi di chi li governa oltre che dei propri pessimismi e dei propri timori.

Quelle che il potere definisce le proprie cellule impazzite devono avere il coraggio, non l'esaltazione, di andare incontro al benessere dei popoli.

Gli uni e le altre devono trovare una forma di aggregazione che inverta socialmente e radicalmente l'orientamento degli eventi, inducendo nuove emulazioni verso una reale e possibile definitiva evoluzione.

Per riuscire in questa impresa, bisogna che ciascuno di noi compia lo sforzo di riconoscere fino in fondo il male che si porta dentro e, con la propria intelligenza, produca quegli effetti incidenti sulle attuali ben note realtà, per modificare, in quanto possibile, questa concatenazione di fatti che noi stessi, in fondo, definiamo pazzie.

E, se per ottenere questo risultato, sarà necessario un esempio, se per schiodare una situazione, che dura dall'inizio della storia, ci vorrà un atto di forza, questo è il momento.

Anche se dovesse dipendere da una persona sola.

Del resto, la storia ci insegna che, se è vero che ad un potere se ne sostituisce sempre un altro che, infine, potrebbe anche essere quello ideale per il benessere della gente, la stessa storia ci insegna che colui che provoca il cambiamento deve essere disposto ad accettare per primo il costo sacrificio del cambiamento.


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EMULAZIONI

Le emulazioni sono fattori esistenziali mediante i quali l'essere umano produce effetti ad un costosacrificio meno elevato.

Anche qui, il fattore "emulazione" attiene i risultati di avere, potere, essere.

Tre quarti dell'umanità di oggi può cogliere, quindi emulare, i processi positivi realizzati dai popoli che hanno potuto e saputo liberare se stessi dai bisogni essenziali, anche se non sarà più possibile produrre ricchezza impedendo a qualcuno di fare altrettanto.

Tutta la gente, di mano in mano che si libera dai bisogni essenziali può risolvere il problema dei rapporti tra governanti e governati.

Ciascuno di noi, che sia sazio ed in buona salute, ha la possibilità di emulare il modo per essere sempre più e fino in fondo se stesso.


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EVOLUZIONE DEI PROBLEMI

Tutti i problemi vitali, sia che rappresentino bisogni, sia che rappresentino desideri, sono risolvibili attraverso una naturale evoluzione che, schematicamente, indichiamo per fasi:

- percezione;

- riconoscimento;

- priorità;

- origine;

- cause;

- obiettivi;

- soluzioni;

- effetti;

- strumenti;

- strategia;

- prassi;

- ostacoli;

- risultati.


Percezione

La prima percezione che noi possiamo avere è che qualcosa ci impedisce di ottenere il miglior benessere.

Ci riferiamo, quindi, a qualcosa che esiste, a qualcosa di reale, di effettivo, dentro e fuori di noi.

Per la verità, si tratta di un numero considerevole di cose che frenano il raggiungimento del nostro miglior benessere: tutte queste cose sono i problemi.

E, per tutti noi, esistono quasi gli stessi problemi, così come tutti noi, individualmente o socialmente, possiamo risolverli.

Però dobbiamo percepirli, questi problemi.

La percezione, quindi, si assume come punto di partenza per risolvere qualsiasi problema, in funzione del nostro comune benessere.

Percezione che può essere indotta da esperienze personali, dalla conoscenza storica, dalla elaborazione logica.

La percezione che deriva dalle esperienze personali è probabilmente quella che provoca in noi i maggiori effetti, perché è qualcosa che ci tocca da vicino e che, quasi fisicamente, anzi, talvolta proprio fisicamente, ci tocca.

Purtroppo, la nostra evoluzione verso il benessere risulterebbe troppo rallentata se i nostri problemi venissero da noi percepiti esclusivamente da esperienze personali.

Non abbiamo tanto tempo!

La fame, le malattie, l'ignoranza e le guerre possono certamente essere da noi percepite senza dover passare attraverso esperienze personali.

Sono fenomeni che esistono, sono sempre esistiti e, alcuni di essi esistono oggi più di ieri.

Quindi dovremmo vivere bendati per non percepire questi fenomeni.

Né possiamo, anche ammesso che fosse legittimo, escluderci da questi fenomeni.

Possiamo escludere la fame, forse, non certamente le malattie, non le guerre, dal momento che siamo arrivati al punto d'aver prodotto strumenti capaci di distruggere oltre a noi, il nostro stesso pianeta.

Ma chi ha voluto tutto questo?

Lo ha voluto la gente che ha inventato, che ha lavorato, che ha prodotto ricchezza o soltanto pochi, pochissimi di noi?

Il modo più opportuno, che dovrebbe anche essere il più naturale, per percepire i problemi dovrebbe essere la conoscenza di tutto quello che sta avvenendo e di tutto quello che è avvenuto prima di noi.

La concentrazione della somma di tutte le conoscenze, delle teorie e dei fatti, posti a disposizione dell'individuo, consentirebbero di provocare un impulso eccezionale, quanto meno nella percezione di tutti problemi già affrontati.

Infine, se noi supponessimo la possibilità di poterci impossessare dell'insieme dei problemi finora percepiti, potremmo liberare immani energie tese a percepire nuovi problemi, il resto degli impedimenti al nostro benessere, mediante l'elaborazione logica della ragione.

Il soddisfacimento dei bisogni essenziali richiederebbe un minimo sforzo comune, mentre tutta la restante energia potrebbe essere orientata al conseguimento della massima perfezione possibile.


Riconoscimento

Percepiti i problemi, occorre riconoscerli.

Il riconoscimento è processo di reazione rispetto alla percezione, nel senso che, supposta l'esistenza di un problema, percepitane l'esistenza stessa, ne riconosciamo l'essenza.

Tutti noi riconosciamo, o dovremmo riconoscere, l'essenza dei problemi che provocano effetti immediati: la fame, la malattia, l'ignoranza ma anche l'ingiustizia, la falsità, la guerra.

Altri problemi sono riconoscibili pensando agli effetti potenziali che provocano.

Gli egoismi e gli eccessi sono esempi di problemi che non provocano sempre effetti immediati, ma certamente ne provocano in prospettiva, attraverso le reazioni di tutti coloro che subiscono gli egoismi e gli eccessi.


Priorità

Riconosciuti i problemi, è necessario definirne il grado di importanza, cioè la latitudine di priorità.

Tale priorità è collegata al grado di interesse, di probabilità, di responsabilità.

Il grado di interesse si rileva attraverso la verifica degli effetti della mancata soluzione; il grado di probabilità è riconducibile all'esistenza o meno delle risorse necessarie a risolvere; il grado di responsabilità è relativo al rapporto tra interesse individuale ed interesse comune.


Origine

I problemi possono avere origine naturale, personale, sociale.

Sono problemi naturali quelli che hanno origine dallo scenario complessivo nel quale viviamo.

Possono avere origine personale, individuale, quelli attinenti la nostra diversità soggettiva.

Sono di origine sociale tutti quelli che hanno origine dai nostri simili.


Cause

Le cause prevalenti dei problemi possono essere naturali, istintive, oppure intellettuali.

Sono cause naturali quelle che scaturiscono dalla nostra struttura biochimica; sono cause istintive quelle che hanno origine dagli impulsi del nostro incosciente; sono, infine, cause intellettuali quelle che ci vengono poste dalla ragione.

Solo una precisazione circa le cause istintive: esse danno origine a problemi reali, effettivi, ma anche a problemi inventati.

Tutti i problemi posti da cause istintive che eccedono quelli la cui soluzione comporta comune benessere sono problemi inventati e non possono che derivare da stati patologici ai quali la scienza, oggi, ha attribuito esatte collocazioni: isterie, psicopatie, mitomanie, etc.

Cause intellettuali sono quelle che nascono dalla ragione, da un rapporto di costo-sacrificio.


Obiettivi

Una volta verificate le cause dei problemi, occorre identificare e definire gli obiettivi che ci si propone di realizzare.

La determinazione degli obiettivi relativi ad un singolo problema deve necessariamente tener conto del rapporto con gli obiettivi determinati in relazione ad altri problemi del medesimo scenario.

Occorre, cioè, pianificare gli obiettivi.

È infine necessario trasporre il convincimento empirico rispetto agli obiettivi in un convincimento scientifico, tecnico, suffragato da realismo, attribuendo il grado di probabilità ad un obiettivo ritenuto possibile (la forza è, quindi, la probabilità di realizzare soluzioni ed è direttamente proporzionale alla volontà).


Soluzioni

Fissati gli obiettivi, la memoria, la scienza e l'intuito ci consentiranno di ideare le soluzioni.

Più precisamente, la memoria e la scienza (cultura) sapranno individuare soluzioni storiche, realizzate od anche solo teorizzate, rispetto agli stessi problemi, mentre l'intuito consentirà di ipotizzare soluzioni originali.

Tutte le soluzioni devono essere comparate stabilendo i rapporti tra risorse, quindi, energia necessaria, organizzazione, tempo da dedicare ed effetti potenzialmente derivabili dalle rispettive soluzioni.

La più opportuna soluzione individuata deve poi essere tra-sformata in progetto ed in programma.


Effetti delle soluzioni

Come è evidente che soluzioni possibili diano luogo ad effetti possibili, così è evidente che soluzioni probabili diano luogo ad effetti probabili, essendo le soluzioni cause degli effetti.

Esiste, pertanto, una logica concatenazione tra soluzioni ed effetti delle stesse.

Ogni soluzione può dar luogo ad una sola tipologia di effetti, che devono essere stabiliti contestualmente alla individuazione della soluzione che ne è causa.

Una volta deciso il parametro tra soluzioni prospettate ed effetto, l'effetto stesso non è più modificabile se non modificando la soluzione.

Si tratta di stabilire delle prevalenze, dunque rispetto agli effetti derivanti da una soluzione, tenendo conto che gli effetti stessi avranno certamente un determinato grado di incidenza, non solo sul problema in esame ma, anche, sullo scenario più complesso nel quale quel determinato problema è sorto.

La determinazione dell'effetto al quale dare prevalenza deve tener conto, essenzialmente, delle reazioni indotte.


Strumenti

La realizzazione di una soluzione richiede, naturalmente, idonei strumenti.

I tre strumenti fondamentali, quelli sui quali si basano tutti gli altri, sono la ragione, l'energia, il tempo.

Il primo risultato, quindi, che è strumentale all'acquisizione degli strumenti, deriva dal rapporto tra ragione (quoziente intellettuale), energia (lavoro inteso come pensiero ed azione) e tempo (la quantità dedicata).

Da questo rapporto fondamentale vengono prodotti tutti i successivi strumenti.


Strategia

La strategia è riconducibile al rapporto tra pianificazione degli obiettivi e strumenti di soluzione.

Essa attiene all'organizzazione degli strumenti, alla loro regolamentazione ed ai conflitti tra il soggetto agente (individuo) e le situazioni reali esistenti (scenari) sulle quali si incide.


Prassi

In un piano impostato secondo i crismi fin qui enunciati, la prassi definisce i modi in cui viene applicata la strategia.

Tutti i metodi pragmatici sono costituiti da almeno tre fatti: azioni, reazioni, controreazioni.

Sono azioni i fatti prodotti dal soggetto agente, sono reazioni gli effetti di tali fatti, sono controreazioni i fatti prodotti dal soggetto agente rispetto agli effetti.


Ostacoli

In apparenza gli ostacoli appaiono identificabili con gli effetti, mentre in realtà essi sono già esistenti nelle situazioni reali sulle quali le soluzioni incidono.

Gli ostacoli sono fatti, impedimenti prevedibili, che rappresentano in sostanza il grado di rifiuto oggettivo intrinseco al problema: sono i difetti, gli errori che scaturiscono dall'essenza del disequilibrio.

La considerazione più realistica degli ostacoli, perciò, implementa il grado di probabilità di una soluzione.


Risultati

I risultati possono essere positivi o negativi.

Parliamo di risultati positivi quando l'incidenza di una soluzione realizzata, rispetto alle risorse impiegate (ragione, energia, tempo) comporta maggiore benessere per il soggetto agente ed il rispettivo scenario, mentre definiamo risultati negativi non soltanto quelli che inducono minore benessere, ma anche quelli che non provocano alcun grado di incidenza sugli scenari: le risorse impiegate per produrre risultati inconsistenti (neutri), in ogni caso, rappresentano pur sempre un risultato negativo.


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